domenica 23 novembre 2008

Il signor Grassia.

Domenica scorsa già dalle prime pedalate avevo capito che la giornata sarebbe stata di quelle speciali, nonostante il continuo shakerarsi dentro di me delle patatine, della pizza e della birra della sera precedente.
La cappa di nubi scure che da alcuni giorni stazionava testarda su tutta la zona si era quasi completamente dissipata, lasciando spazio all’ azzurro del cielo, e l’ aria era intrisa di odori.
Due su tutti: l’ irresistibile fragranza di dolci appena sfornati che giungeva dalle tante pasticcerie lungo la strada ed il profumo completamente diverso, ma non per questo meno invitante, dei carciofi arrostiti che si alzava dai banchetti dei venditori ambulanti.
Man mano che avanzavo si alternavano con precisione maniacale: odore di dolci, odore di carciofi, dolci, carciofi, dolci, carciofi…..finchè sono arrivato in un punto in cui un signore arrostiva carciofi di fronte ad una pasticceria!
E lì è stata l’ apoteosi del melting pot olfattivo! Mi rendo conto di quanto sia difficile convincere chi non ha potuto farne esperienza diretta che l’ odore ‘nutelloso’ dei cornetti e quello fumoso dei carciofi alla brace si sposino così bene, tanto da mandare in visibilio le papille gustative, ma sappiate che se un giorno vi sorprenderete a rimirare con cupidigia una bomba nutella e carciofo nelle vetrine di una pasticceria lo dovrete solo a me, che nel frattempo ne avrò brevettata la ricetta!
Comunque, nel vano tentativo di non sbavare per non insozzare il manubrio della bici, sono arrivato al luogo dell’ appuntamento, dove mi attendeva Stefano. Insieme abbiamo deciso di dirigerci al confine fra le province di Caserta e di Benevento a caccia di salite e poche decine di minuti dopo eravamo impegnati a scalare la salita di Durazzano.
Al primo tornante abbiamo superato un ciclista in evidente difficoltà e per alcuni minuti abbiamo continuato a salire da soli, Stefano avanti a segnare il passo ed io dietro che, essendo più lento, impercettibilmente ma inesorabilmente perdevo via via terreno.
Qualche tornante più su comincio ad avvertire una presenza inquietante alle mie spalle, ad avere la sensazione di essere seguito e, dal tipico fruscio, capisco che si tratta di una bicicletta. Mi volto e scorgo l’ inseguitore ad una decina di metri da me. Credendo fosse il ragazzo in difficoltà superato poco prima, penso: “Cos' è, hai superato la crisi e vuoi lavare via l’ onta del sorpasso sverniciandomi a tua volta!? Giammai!!”. Ma poi, ricordando che mi aspettano ancora tanti chilometri in sella, penso che non sia il caso di forzare il ritmo e attendo impassibile che il fruscio delle sue ruote cresca fino a trovarmelo di fianco. Ci scambiamo un saluto e solo allora mi rendo conto che non è il ragazzo di prima, quello forse è già deceduto con tutta la bici, ma è - orrore! - un ‘simpatico’ vecchietto.
Lentamente mi stacca e si mette a ruota di Stefano, che non ci pensa due volte e raccoglie la sfida: Stefano accelera e l’ altro dietro; di nuovo un rilancio ma l’ inseguitore non demorde. Vanno avanti così fino a quando il caschetto rosso del mio amico, sempre tallonato da quello del ciclista stagionato, non scompare definitivamente dalla mia vista un paio di tornanti sopra la mia testa.
Arrivato allo scollinamento trovo Stefano ad aspettarmi: “Madonna quanto andava quello, mi sono usciti gli occhi di fuori per tenerlo dietro!”, ed io: “Secondo me è il tipico pensionato che, avendo tempo libero da vendere, riesce ad allenarsi tutti i giorni!”
Nel mentre il ‘tipico pensionato’ torna indietro e ci si avvicina offrendosi di accompagnarci nel prosieguo del giro. Noi ci scambiamo un’ occhiata interrogativa e, sorpresi, accettiamo.
Ha così inizio una piacevolissima chiacchierata lunga 20 chilometri!
Gli facciamo i complimenti per le sue doti ciclistiche e restiamo esterrefatti quando il signor Grassia - così si chiama - ci rivela di avere la bellezza di 72 anni e di essere un agonista ancora in attività con tante vittorie, anche recenti, nel suo palmares!
Dall’ understatement della sua bicicletta, ma soprattutto dai suoi strani calzini a rombi, non l’ avrei mai detto!
Guardandolo meglio noto che ha una posizione in sella perfetta: ha una guida precisissima e una pedalata rotonda e leggera, ma soprattutto muove solo le gambe senza il benché minimo ondeggiamento delle spalle e delle braccia, nessun muscolo che non sia finalizzato alla pedalata viene mosso…questo si che si chiama risparmio energetico!
Ma la cosa più affascinante è che si rivela un abile conversatore. E’ bellissimo pedalare al suo fianco ed ascoltarlo raccontare, nel suo tono pacato, del ciclismo del passato dal punto di vista di uno che l’ ha vissuto, a differenza di me e Stefano che l’ abbiamo visto solo in tv, ché allora non eravamo ancora nati.
Spinto da Stefano, che ha letto un po’ di biografie sulle leggende del ciclismo, comincia a parlare di vecchi campioni; non tanto delle loro gesta in bici, quanto del loro lato umano, facendo numerosi parallelismi con i campioni dei nostri giorni.
Ci racconta che nel 1940 Coppi, il campionissimo, va alla Legnano come gregario di 'Ginettaccio' Bartali con il quale nascerà in seguito un rapporto di amore-odio incentrato su rivalità ciclistiche e politiche, comunista Coppi e democristiano Bartali, ma anche su gesti di grande umanità.
Il che faceva di questi uomini venuti dal popolo due figure nelle quali l’ Italia dell’ epoca non faticava ad immedesimarsi, a differenza degli atleti moderni, tutti molto ‘costruiti’, secondo il signor Grassia.
Ci dice di come, proprio nel Giro d’ Italia del ’40, in una tappa alpina, Coppi rimanga indietro e, colto da lancinanti dolori alle gambe, voglia ritirarsi. Ma Bartali se ne accorge e, tornato indietro, lo redarguisce duramente, gli mette della neve sul viso per farlo riprendere e lo costringe a terminare la gara.
Passa poi a parlarci dell’ attivismo antifascista di Bartali, che durante la seconda guerra mondiale fece la spola in bici tra Cortona ed Assisi trasportando, nascosti nel telaio, documenti e foto per permettere ad una tipografia di produrre documenti falsi, in modo da far fuggire dei rifugiati ebrei.
A questi ricordi il volto del nostro simpatico vecchietto si illumina per un attimo, ma subito un velo di tristezza gli cala sugli occhi. “Gesti del genere” - dice - “come anche il semplice scambiarsi una borraccia tra rivali, oggi sono molto rari”.
Passato quest’ attimo di nostalgia finisce poi a parlare di Jacques Anquetil, ritenuto dai più il miglior cronoman di sempre: sfilò a Coppi il record dell’ ora, ma dovette a sua volta cederlo ad Ercole Baldini pochi mesi dopo.
Poi, dopo un accenno a ‘monsieur le cannibale’ Eddy Merckx, celebre ciclista plurivittorioso nella prima metà degli anni ’70, il signor Grassia ci fa capire di seguire ancora molto il ciclismo, dandoci il suo parere, condivisibile o meno, ma mai banale o retorico, su atleti contemporanei come Cunego, Ballan, Armstrong, Basso, senza dimenticare di omaggiare Marco Pantani, secondo lui - e anche secondo molti altri aggiungo io - lo scalatore più forte in assoluto mai esistito.
Nel frattempo, persi in questi discorsi, i chilometri sono volati via come niente cullati dalla voce magnetica del nostro nuovo amico. Ad un incrocio incontriamo altri due ciclisti che, conoscendo il nostro apripista, si aggregano al gruppetto. Non hanno certo l’ età del nostro compagno di pedalata, ma anche loro hanno abbondantemente superato gli anta e si dimostrano belli ‘tosti’. Si mettono in testa a tirare seguiti a ruota dal ‘mio’ vecchietto ed io, dopo circa un chilometro molto sofferto, a 42Km/h, perdo il treno e vedo il signor Grassia allontanarsi inesorabilmente all’ orizzonte sul suo cavallo meccanico, degno finale di un post-moderno film western, nella speranza di poterlo incontrare ancora per tornare a perdermi nei suoi mille aneddoti.

domenica 9 novembre 2008

Napoli, la Gaiola.
























Questo mio primo post è della serie: 'Quanto conosci la tua città?'
Pur abitando in provincia, conosco abbastanza bene Napoli. Nonostante ciò, spesso scopro delle zone della città di cui ignoravo l' esistenza.
La scoperta paesaggistica di cui voglio scrivere oggi l' ho effettuata due o tre settimane fa grazie al mio amico Antonio.
Si tratta della Gaiola, un tratto di costa all' altezza di Capo Posillipo, in pratica sotto il Virgiliano, isola verde forse più nota ai napoletani come 'Parco della Rimembranza'.

Partiamo nel primo pomeriggio e, giunti a Napoli, siamo accolti da un' atmosfera irreale. E' un giorno festivo ed è da poco trascorsa l' ora di pranzo per cui le strade sono quasi deserte, rare auto passano lente sul lungomare ed i tavolini dei tipici chalet di Mergellina sono ancora vuoti, in attesa dello scatenarsi della movida serale.
Da Mergellina saliamo sulla collina di Posillipo, con i finestrini aperti per respirare l' aria che sa ancora d' estate.
Poche centinaia di metri prima dell' inizio della discesa per Coroglio, giriamo a sinistra in via Tito Lucrezio Caro, che porta al Virgiliano. Circa 800 metri prima dell' ingresso principale del parco, più o meno dopo aver percorso mezzo chilometro di curve alberate e panoramiche, scorgiamo sulla sinistra una minuscola tabella di marmo su cui c' è scritto 'Discesa Gaiola'.
Dopo aver valutato se avventurarci in auto giù per la discesa o parcheggiare e scendere a piedi, optiamo per la seconda possibilità...che si rivelerà la scelta giusta!
Lasciata la macchina proprio all' angolo della stradina, cominciamo la discesa a piedi. La strada è abbastanza stretta tanto che in alcuni punti due auto affiancate non riuscirebbero a transitare. Inoltre la via è a fondo cieco e gli accessi alle abitazioni private sono chiusi da cancelli, per cui è difficile fare inversione ed è impossibile parcheggiare. Ma già l' avevamo intuito dal fatto che tutte le auto che imboccavano la Discesa Gaiola, sistematicamente tornavano su dopo cinque minuti.
La pendenza è abbastanza elevata, tanto che penso chissà come sarebbe farla in bici nel senso della salita. Pochi minuti e sono accontentato: da un tornante sbuca una ragazza in mountain bike che, con estrema difficoltà, ma senza demordere, ci sfila davanti e scompare oltre un tornante.
Man mano che scendiamo, sporgendoci dal basso muretto, riusciamo ad intravedere sul costone tufaceo alcune costruzioni antiche, grotte e alcune terrazze del Virgiliano.
In realtà si è scoperto che in quest' area sorgeva la villa di P.V.Pollione intorno alla quale c' erano altre numerose strutture. Nel corso dei secoli il fenomeno del bradisismo, tipico di questa zona, ha fatto sì che una parte della costa si inabissasse, portando con sè queste testimonianze del passato.
Percorriamo così in forte discesa circa 600 metri, fino a giungere ad un tornate destrorso. In questo tornante c' è una piccola stradina il cui accesso è protetto dall' ingresso degli scooter grazie a dei paletti. E' proprio qui che bisogna infilarsi per proseguire verso il mare. Invece noi puntualmente sbagliamo e continuiamo per un altro pò lungo la via principale fino ad arrivare in un punto non più asfaltato, dove ci sono delle case diroccate. Dopo esserci consultati un pò, decidiamo di tornare sui nostri passi, finchè non ci accorgiamo della stradina con i paletti e ritorniamo sulla retta via.
Dopo circa due-trecento metri ci appare una scaletta di ferro. Sceso dalla scaletta mi trovo di fronte il mare, che come sempre ha il potere di farmi sognare ad occhi aperti, ma mi mette anche un pò di malinconia. Percorriamo pochi metri lungo un molo molto basso, il porticciolo della Gaiola, finchè questo lascia il posto alla sabbia. Si tratta di una piccola spiaggetta sulla quale sono tirati in secca alcuni gozzi.
Mentre inizio ad armeggiare con la macchina fotografica penso che se vivessi qui potrei coltivare un' altra delle mie passioni: il kayak. Basterebbe avere anche solo un' oretta libera per attraversare l' uscio di casa, calare il kayak in acqua e farsi una sana pagaiata sottocosta! Credo che Napoli vista dal mare sia una cosa impareggiabile!
Perso nei miei pensieri sento il fruscio di una chiglia sulla sabbia. Mi giro e...che vedo? Un signore che sta tranquillamente rientrando da un giro in kayak! A questo punto, visto anche il precedente episodio della mountain bike, comincio a credere di avere doti di preveggenza, ma prontamente Antonio mi riporta alla realtà: ha scoperto, proprio su di un lato della spiaggetta, una gradinata che porta su una terrazza. In cima alle scale troviamo un cancello chiuso fiancheggiato da un basso muretto. Alcuni ragazzi che erano sulla terrazza scavalcano il muretto per tornare sulla spiaggia e noi, seguendo il loro esempio, ma in senso contrario, saltiamo a nostra volta. Ed è qui che facciamo la scoperta più emozionante della giornata o, come direbbe il mio amico, il punctum dell' uscita!
Ci troviamo su di una piccola striscia di costa fatta di tufo, saranno due-tre metri, stretti tra il muro di una costruzione alle nostre spalle ed il mare davanti a noi, mentre un ragazzo rientra dalla nuotata, qualche coppia guarda in silenzio il mare ed un pescatore studia con attenzione il galleggiante della sua canna. Alziamo gli occhi e di fronte a noi, a meno di dieci metri, ci sono due isolette, appunto gli isolotti della Gaiola, separati tra loro solo da una strisciolina di mare! La tentazione di raggiungerli a nuoto è forte! Se solo avessimo il costume!
Ma la cosa che più mi colpisce è il totale silenzio, interrotto solo dalle grida dei gabbiani, che mai avrei ritenuto possibile in una città come Napoli. Mi stupisce come a pochi metri in linea d' aria dal caotico traffico cittadino ci possa essere un' oasi di pace e tranquillità dove non giungono clacson, rumori di motori, voci umane...
Solo dopo verrò a sapere che quei due isolotti erano un tempo attaccati alla costa di Capo Posillipo e che il succitato bradisismo ha fatto sì che il mare ingoiasse il tratto di costa che li teneva uniti alla collina rendendoli di fatto delle isole a tutti gli effetti!
E sempre dopo verrò a sapere che esiste un ente, il Centro Studi Interdisciplinari Gaiola, con sede appunto alla Gaiola, che organizza vari tipi di visite guidate, fra cui quelle subacquee al Parco Sommerso della Gaiola, alla scoperta di resti archeologici romani sommersi!
Ma le emozioni non finiscono qui. Dopo tante scoperte affascinanti, mentre ci avviamo verso la ripida salita che ci riporterà all' auto, la Gaiola ci saluta in maniera surreale: un signore si siede sul muretto da cui prima siamo scesi noi e comincia a suonare una specie di tastiera e un' armonica cantando in inglese qualcosa di vagamente country, mentre un anziano pescatore che era immerso nell' antico lavoro di riparazione delle reti da pesca alza la testa e, con un sorriso tra il divertito e l' ironico, fa: "E chi è chist, Bob Dylan?".